INDICE

Avanti >>

.

S. MARIA D'ORSOLEO

Luigi BRANCO, Memorie di S. Maria d'Orsoleo. Presso S. Arcangelo di Lucania, Matera 1993.

L'antico complesso monumentale di S. Maria d'Orsoleo, che nel territorio di S. Arcangelo domina con la sua struttura i paesi della Valle dell'Agri, si erge oggi, come pregevole fonte "materica", a testimoniare un ricco passato di storia e di civiltà, una forte tradizione di fede e di pietà del popolo lucano.
Ripercorrere la storia di questo importante "luogo di culto" dedicato alla vergine, le cui origini si perdono ancora in un nebuloso alone di storia e leggenda, non é operazione certamente facile data la scarsità di documentazionereperibile.
Dopo le brevi notizie fornite da Leone Mattei Cerasoli (1) sulle origini della chiesa costruita in onore della Madonna, "Le Memorie di S. Maria di Orsoleo presso S. Arcangelo" di Luigi Branco tentano una ricostruzione più ampia delle svariate ed alterne vicende che hanno segnato la vita e lo sviluppo dell'insediamento, dal suo sorgere fino alle più recenti manomissioni e trasformazioni avvenute dopo la soppressione degli Ordini Religiosi nel 1860.
Non ci troviamo, però, come a prima vista potrebbe far pensare il titolo, solo di fronte ad una rievocazione nostalgica motivata dall'affetto per la propria terra, che si snoda lungo il filo della memoria. L'autore, con rigore quasi scientifico, ben documentato dal ricco corredo di note archivistiche e bibliografiche, vaglia criticamente una serie di testimonianze orali e scritte e cerca di decifrare, al di là dello stratificarsi di antiche tradizioni e leggende, il retaggio del monachesimo italo-greco e la peculiarità della successiva presenza francescana in questo "sacro" luogo di "Ursuleo".
Lo studioso parte dalla suggestiva ipotesi dell'antica sacralità della collina, la cui radura priva di alberi era probabilmente consacrata alla divinità sin dai tempi più antichi, e che, intorno all'anno mille, fu riconsacrata all'Arcangelo Michele, l'Archestrategòs, e alla venerazione della Madre di Dio, la Teotokos', due culti tipici dell'ambiente religioso monastico dell'Oriente bizantino. Infatti, come è ben noto, la Valle dell'Agri fu interessata dal flusso di immigrazioni dei monaci greci che provenivano dalla Sicilia e dalla Calabria spinti dall'avanzata islamica e/o dalla lotta iconoclastica: tesi questa, ampiamente discussa da numerosi studiosi, dal Guillou al Cappelli, i quali tentano di cogliere il fenomeno nella sua dimensione più vasta, nel quadro del più complesso processo di ellenizzazione del Mezzogiorno d'Italia. (2)
In Basilicata la penetrazione dei monaci greci, in stretta concomitanza con la seconda colonizzazione bizantina, avviene secondo varie direzioni: dalla costa ionica lungo le vallate dei fiumi lucani e dalla costa tirrenica della Calabria seguendo il corso del fiume Lao fino alla valle del Mercure. La successiva localizzazione nelle regioni monastiche del "Latinianon" e del "Mercurion" ha posto, però, non pochi problemi agli studiosi per la loro individuazione territoriale.
Sembrano oggi accettate le conclusioni del Cappelli che individua il Latinianon nell'area compresa tra la media valle del Sinni e l'alta valle dell'Agri, mentre risulta attendibile per il Mercurion la ubicazione fatta dal Gay nella Calabria settentrionale e topograficamente individuata dal Pandolfi lungo la vallata del Lao-Mercure e comprendente il territorio tra Lauria, Rotonda e Normanno. (3)
La collina di S. Maria di Orsoleo nel territorio di S. Arcangelo, per la sua posizione geografica si trovò ad essere interessata probabilmente, come pone in rilievo il Branco, da una delle direttrici di espansione del monachesimo basiliano che, anche nella media valle dell'Agri, vide affermarsi alcune fondazioni monastiche, come il monastero di S. Maria e di S. Pietro, presso Armento fondato dal monaco siculo-greco Luca sul finire del secolo X o quello di S. Angelo, a S. Chirico Raparo, fondato alcuni anni prima del 984 da Vitale da Castronuovo che, provenendo dalla Calabria attraverso il Pollino, si fermò nelle valli del Sinni e dell'Agri. (4)
Altri elementi contribuiscono, secondo lo studioso, ad avvalorare la presenza greco-bizantina in questo "sacro luogo". Innanzitutto una chiesa greca dedicata a S. Pancrazio, che nel 1441 fu offerta, ormai malandata, a Ruggero, priore di S. Maria di Cersosimo, come ha già messo in luce Leone Mattei Cerasoli e, poi, l'origine greco-bizantina del nome Orsoleo, che il Branco etimologicamente fa discendere da oupos (per metatesi oupso-uros), urso che significa guardiano, protettore e lev, (leò, forma obliqua) che vuol dire popolo.
Una spiegazione questa, fornita dall'autore, abbastanza attendibile, rispetto a quella più "fabulosa" ricordata dal Gonzaga nella sua vasta opera sull'origine e lo sviluppo dell'Ordine francescano e da altri studiosi locali, come il Giocoli, che fanno derivare il toponimo dal nome di due eremiti francesi (Ursus e Leo), ai quali era stata affidata una gloriosa immagine della vergine che si diceva trasportata dagli angeli in una zona tra S. Arcangelo e Roccanova a causa del propagarsi a Carbone dell'eresia dei Fraticelli.
Ma fra tante pur suggestive ipotesi e leggende l'unico dato storicamente certo è quello segnalato da L. Mattei Cerasoli e richiamato dal Branco: l'acquisto, cioè, da parte di due fratelli di S. Arcangelo, Daniele e Zaccaria, di un pezzo di terra nella valle detta "Ursulei" per erigervi una chiesa in onore della Madonna, dove già si trovava una grotta, probabile luogo di preghiera di qualche eremita bizantino.
La nuova fondazione si arricchì presto con donazioni e acquisti di terreni e di case, ma non divenne mai un "beneficio ecclesiastico", come risulta dal fatto che essa non si trova nell'elenco dei beni ecclesiastici obbligati al pagamento della decima alla S. Sede. Essa fu, comunque, oggetto di un dura contesa nel 1305 fra l'arcivescovo di Anglona e Guglielmo della Marra di Stigliano che aveva avuto in godimento il feudo, cui S. Arcangelo apparteneva.
Tuttavia, nel 1474 il conte Eligio della Marra, ottenendo per sè ed i suoi eredi il diritto di "giuspadronato" dall'allora vescovo Giacomo da Capua, costruì un monastero per i frati osservanti inglobando la vecchia cappella di S. Maria.
La leggenda vuole che il conte Eligio fece erigere il convento per devozione alla Vergine che lo avrebbe aiutato ad uccidere un grosso drogo nelle campagne di Gannano.
Ma tant'é! Pur in assenza di documentazione originale che ne attesti la vita e l'importanza, si sa che il convento accolse i francescani del nuovo ramo dell'osservanza, istituita in Basilicata prima come vicaria nel 1484 e poi come circoscrizione monastica nel 1517, divenendo sede del Ministro Provinciale e vivace luogo di studi teologici e filosofici.
Successivamente, il nuovo feudatario Antonio Carafa della Marra stabili nei Capitoli una contribuzione, "per il vestiario dei frati", da parte delle università di S. Arcangelo, Roccanova ed Alianello.
Interessante è notare, come rileva L. Branco analizzando i dati del Catasto onciario, che il convento possedeva un discreto patrimonio proveniente da legati, censi annuali e proprietà fondiarie; fatto abbastanza singolare per una comunità mendicante che, in ossequio all'indirizzo di vita più rigoroso della propria famiglia, doveva ispirarsi maggiormente all'ideale di "paupertas", secondo la regola del Santo fondatore, cui si conformò, in verità, maggiormente il nuovo ramo Cappuccino dell'Ordine francescano. E' pur vero che, grazie ad una bolla di Pio V del 1567, il convento aveva avuto la facoltà dal Pontefice di possedere beni temporali e la grande foresta donata dal principe Eligio della Marra.
Il convento, inoltre, insieme alla chiesa era ricco di pregiate opere d'arte commissionate dai principi Carafa grazie ai loro contatti con l'ambiente napoletano. Di grande interesse, in particolare, é il coro ligneo del 1014, probabilmente opera di frati incisori dello stesso convento che, come é stato accertato per altri insediamenti, con forme artistiche espressive contribuivano alla diffusione del "nuovo verbo religioso". (5)
La crescita rigogliosa e lo sviluppo fiorente del convento, che a metà dell'800 accoglieva 24 frati, fu interrotto dalle dure leggi eversive post-unitarie che portarono nel 186O alla soppressione di tutti gli Ordini e le congregazioni religiose, con la conseguente chiusura dei conventi e la diaspora dei frati.
Il complesso di Orsoleo, benché nel 1884 furono riaperti alcuni conventi, rimase, però, chiuso e non venduto, amministrato per alcuni anni dalla Cassa Provinciale di Credito agricolo. Dopo vari tentativi, per lo più falliti, di impiantare una scuola agraria, solo nel 1924 fu istituita una colonia agraria affidata all'Opera Nazionale del Mezzogiorno d'Italia per gli orfani di guerra dell'Italia meridionale; ben presto, però, fu chiusa sia, forse, per motivi politici, che per inadempienze della Cassa Provinciale di Credito, come pone in rilievo il Branco esaminando alcuni documenti inediti conservati presso l'Archivio della già citata "Opera"; nel 1927 tutto il complesso, poi, passò al Banco di Napoli che nel 1940 lo vendette a privati.
Nell'ultima parte del suo volume, infine, l'autore si sofferma ad analizzare le alterne vicende del complesso, dall'impropria detenzione da parte di privati, che costituì una questione largamente dibattuta negli anni 60-70 dalle autorità competenti, fino alle più recenti proposte legislative di restauro, dopo il terremoto dell'80, dell'intero complesso che miravano alla valorizzazione di un così importante patrimonio storico e artistico della Basilicata, finalizzandolo ad uso collettivo con la creazione, in "loco", di un museo-laboratorio che raccogliesse le testimonianze sulle popolazioni elleniche ed anelleniche presenti nella valle dell'Agri.
La necessità di un'azione di recupero e di rivitalizzazione di un così pregevole monumento e la speranza che diventi un "bene di tutti", secondo l'espressione usata da L. Branco, è forse la motivazione ideale che ha spinto lo studioso a ripercorrere "a ritroso" la storia di S. Maria di Orsoleo e si pone come una sollecitazione a completare, in tempi brevi, i lavori di restauro avviati.
Ma il lungo excursus-storico tracciato dall'autore sollecita altri spunti di riflessione e nuove piste d'indagine.
L'antica funzione che il complesso monumentale ha avuto nel corso dei secoli, come "Santuario" mariano e come luogo di pellegrinaggio per tutti gli abitanti della zona, richiama l'esigenza sottolineata da V. Verrastro di pervenire ad una mappa della fittissima rete di edicole, cappellette e santuari dedicati alla Vergine e ad un'ampia sintesi organica dei principali aspetti assunti dalla devozione mariana in questi luoghi di "culto". (6) In tal senso anche la toponomastica regionale ci aiuta a ricostruire gli itinerari ed i percorsi della intensa pietà mariana di cui è fortemente intessuta la storia e la vita delle genti lucane. (7)
Ci sembra, poi, che S. Maria d'Orsoleo, per la probabile "preesistenza bizantina", simboleggi anche da un punto di vista materiale, il legame fra la tradizione monastica greca e lo sviluppo di nuove fondazioni conventuali.
L'influenza del monachesimo italo-greco, così vivo nell'area dell'Agri come nel Medio Sinni e nel Lagonegrese, rimase non solo nella tradizione ascetico-mistica, nella spiritualità fatta di macerazioni e contemplazioni di alcuni santi, da S. Francesco di Paola al beato Lentini, ma costituì l'humus più adatto alla penetrazione del messaggio del poverello d'Assisi, legandosi, altresì, al più generale programma di recupero del Mezzogiorno all'occidente cattolico.
Le celle, le grotte, le "laure", di cui erano ricchi i monti della Basilicata e del Cilento, erano infatti "tabernacoli pieni di cori divini", come afferma G. De Rosa analizzando il grande fenomeno di spiritualità mistica di S. Nilo che fuggiva dal mondo alla ricerca del deserto e dei monti come luoghi di preghiera e di meditazione senza escludere il rapporto con le comunità locali. (8)
Il forte impulso ascetico-mistico dei monaci greci confluisce nella cristocentrica pietà francescana, nell'adorazione e imitazione del "Christus patiens" insieme alla intensa devozione mariana che, se trova le sue origini più profonde nella spiritualità orientale, viene rinvigorita dall'azione dei nuovi Ordini Mendicanti. Anche l'"anacoresi", che per S. Francesco era la condizione naturale dello Spirito che si realizza nella totalità della "contemplazione divina", suggella il legame di continuità con i moduli esicastici dei padri del deserto.
In verità, come é noto, in Basilicata non vi fu una vera e propria esperienza eremitica da parte dei primi discepoli di S. Francesco, ma solo la presenza di alcune stazioni eremitoriali legate a singoli o a gruppi di Spirituali che trovarono rifugio nella nostra terra: é il caso degli eremi di S. Maria dell'Aspro o di S. Michele di Saponara o della "Silva" di Melfi dove visse in solitudine il beato Gismondo.(9) La tendenza alla vita contemplativa ben presto si coniugò per i francescani con la dimensione di una vita attiva ed apostolica, anche se l'ideale eremitico divenne un elemento di fedele "ritorno" alle proprie origini, soprattutto per i frati dei due nuovi rami dell'Ordine, gli Osservanti ed i Cappuccini, che si svilupparono tra il '400 ed il '500 nel solco di quel generale movimento di "autoriforma delle membra" (10) che interessò anche l'ordine francescano.
I Frati dei due nuovi rami, infatti, si insediano inizialmente in "romitori" e poi promuovono la costruzione di nuovi insediamenti, sempre "extra moenia" o a breve distanza dall'abitato, su alture che evidenziano nella "collocazione eremitica l'orientamento rigoristico della comunità che vi risiede". (11)
E' questa una tipologia molto diffusa anche in Basilicata ed é tipica del convento di S. Maria d'Orsoleo che, costruito sulla preesistente chiesa situata sulla collina, accolse i frati dell'Osservanza.
Le notizie fornite da Branco sull'insediamento conventuale arricchiscono le già copiose pagine di storia francescana della Basilicata (12) ed offrono alcuni dati interessanti relativi anche alla committenza artistica di cui alcuni conventi sono tramite e veicoli, sia attraverso l'intervento delle famiglie locali, che dotano gli edifici di ricchi arredi, sia attraverso la presenza in alcuni conventi di frati-artisti e di maestranze locali che erigono una serie di manufatti lignei.
Un aspetto questo di grande rilievo che merita, a nostro avviso, di essere approfondito per molti conventi della Basilicata nella consapevolezza che un'analisi delle strutture architettoniche e dal loro insediamento urbanistico, dei patrimoni librari ed artistici in essi presenti non può essere avulso dal contesto sociale ed economico dei vari ambiti territoriali, né dal complesso stratificarsi di correnti spirituali e culturali sedimentatesi nel corso dei secoli.

NOTE

1 L. MATTEI CERASOLI, S. Maria di Orsoleo presso S. Arcangelo di Potenza in "Archivio storico per la Calabria e la Lucania" 1947, pp. 93-111

2 Il problema dell'ellenizzazione dell'Italia Meridionale é stato trattato sotto il profilo linguistico, economico, politico, religioso e culturale da molti studiosi. Ci limitiamo, pertanto, a segnalare solo alcuni contributi significativi Cfr. F. LENORMANT, La grande Grèce, Paris 1881; E. BERTAUX, L'art dans l'ltalie Meridionale, de la fine de l'empire romain à la conquète de Charles d'Anjon Paris 1904; J. GAY L'ltalie Meridionale et l'empire bizantine, Paris 1904; L. R. MENAGER, La "bizantinization" religieuse de l'Italie meridionale (IX-XI siecles) e la politique monastique des Normands d'ltalie in "Revue d'Histoire ecclesiastique" LIll. LIV 1954; B. CAPPELLI, Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, Napoli 1963; S. BORSARI, Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell'Italia meridionale pre-normanna; Napoli 1963. A. GUILLOU, Studies on Byzantine Italy, London 1970.

3 Cfr. B. CAPPELLI, op. cit., pp. 227-274.

4 Cfr MONASTICON ITALIAE, III Puglia e Basilicata (a cura di) Giovanni Lunardi-Hubert Houben Giovanni Spinelli, Cesena 1986 pp. 164-165. Nella sezione dedicata alla Basilicata H. Houben fornisce un atlante geostorico degli insediamenti bizantini e benedettini, tracciando un ampio quadro del monachesimo in Basilicata dalle origini al secolo XX (Cfr. IDEM pp. 163-203).

5 A tal proposito cfr M. GIANNATTIEMPO L'arredo nelle chiese dal XIV al XVIII secolo in Insediamenti francescani in Basilicata. Un repertorio per la conoscenza, tutela e conservazione. Matera 1988, vol. I, pp. 85-134.

6 V. VERRASTRO, Culto alla Vergine attraverso i santuari mariani lucani in La mariologia tra Oriente e Occidente. (Atti del convegno Santuario Madonna di Picciano Matera 24-25 aprile 1988) Matera 1990, pp 135-162.

7 A tal proposito cfr. M. A. RINALDI, Il culto mariano in ordine alla buona morte in "Ricerche di storia sociale e religiosa" 15-16 (gennaio-dicembre) 1979, pp. 285-290.

8 G. DE ROSA, Storia di santi, Bari 1990, pp. 5-48.

9 Cfr. G. BOVE, Tipologia dei primi insediamenti minoritici in Basilicata (sec. XIII e XIV) in AA. VV. Francescanesimo in Basilicata (a cura di G Bove, C. Palestina, F. L. Pietrafesa), Napoli 1989 pp. 39-41.

10 H. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, Brescia 1973, vol. I, pp. 159-187

11 R. RUSCONI, Gli Ordini Mendicanti tra Rinascimento e Controriforma: eremi e riforme, conventi e città, missioni e campagne, in AA. VV. Città italiane del 500 tra Riforma e Controriforma, Lucca 1988, p. 268.

12 Sulla presenza e sullo sviluppo dell'Ordine francescano in Basilicata, in particolare, Cfr. P. COCO, I Francescani in Basilicata in "Studi francescani" XXII (1925), Firenze 1925, M. DA CALITRI, I frati minori cappuccini nella Lucania e nel Salernitano, Salerno, 1948; T. PEDIO, Diocesi e comunità monastiche in Basilicata, Matera, 1967, pp. 41-58, M. A. BOCHICCHIO, Conventi e ordini religiosi mendicanti in Basilicata dal XVI al XVII secolo. Vita materiale e rapporti col popolo in AA. VV. Società e religione in Basilicata, Potenza 1977, vol. Il, pp. 71-119; ID L'Ordine e lo sviluppo della regolare osservanza francescana in Basilicata (1475-1593) in Studi Francescani LXXIV, (1977) n. 1-2; pp. 1-96; AA. VV. Francescanesimo in Basilicata. Atti del Convegno di Rionero in Vulture (7-10 maggio 1987) (a cura di) G. Bove, C. Palestina, F. L. Pietrafesa, Napoli 1989; M. A. Rinaldi; La presenza francescana nella Basilicata moderna in AA. VV. Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno Moderno (a cura di) B. Pellegrino e F. Gaudioso. Galatina 1987 vol. I, pp. 191-202 C. Biscaglia, I minori conventuali a Tricarico e il complesso monastico di S. Francesco in "Rassegna storica lucana" X (1990), n. 12, pp. 79-89.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1994

Autore: M. Antonietta Rinaldi

 

[ Home ]  [Scrivici]